Brevetti software vietati in Nuova Zelanda, ma è davvero la strada da intraprendere?

Written By Unknown on Kamis, 29 Agustus 2013 | 19.03

Un nuovo disegno di legge sui brevetti ha vietato di fatto quelli relativi al software. È successo in Nuova Zelanda dove il Parlamento ha votato con 117 voti a favore e solamente 4 contrari. Il dibattimento durato cinque anni non ha riconosciuto, in sostanza, il software informatico come una vera e propria invenzione. Tuttavia, come riporta Ars Technica, la formulazione del disegno di legge sembra sufficientemente flessibile per fornire margini di manovra laddove considerati necessari. Dal momento che "prodotti e processi" vengono ancora considerati invenzioni brevettabili, il software che è parte integrante nell'implementazione di un processo volto a migliorare l'hardware può essere incluso nella domanda di brevetto.

Nuova Zelanda vieta brevetti software

"Proteggere il software brevettandolo non è coerente con il modello open source, e i sostenitori di quest'ultimo si oppongono", si legge sulla nuova legge che rimpiazza il Patents Act del 1953. "Molti fra gli autori delle segnalazioni sostengono che non vi è inventiva nello sviluppo software in sé, soprattutto se il nuovo software si basa su cose già esistenti."

In sostanza verrà vietato brevettare un programma software se questo non è direttamente collegato ad un processo che può essere considerato brevettabile. Il programma in quanto tale invece verrà categoricamente escluso dalle categorie brevettabili se non in funzione di un processo hardware. L'esempio svolto all'interno dei documenti è quello di una lavatrice: se un software permette di avere miglioramenti nei programmi di lavaggio e consente di avere vestiti più puliti utilizzando meno elettricità, allora si potrà pensare a concedere un brevetto software. La decisione del Parlamento neozelandese, come ha riportato Clare Curran, uno dei parlamentari maggiormente coinvolti nei dibattimenti, è dovuta al fatto che spesso molte aziende brevettano "cose ovvie" ed in questo caso si ottengono effetti controproducenti per l'innovazione.

"È quasi impossibile sviluppare nuovo software senza violare uno dei centinaia di migliaia brevetti concessi in tutto il mondo per questioni ovvie", ha sostenuto la parlamentare. Tuttavia il Parlamento della Nuova Zelanda ha vietato solamente l'applicazione dei nuovi brevetti, in questo modo quelli già esistenti andranno di fatto rispettati e continueranno ad avere validità legale.

La questione resta quindi aperta negli altri paesi del mondo e il caso in Nuova Zelanda potrebbe fare da apripista ed avere conseguenze più che sensibili nel settore della tecnologia che negli ultimi anni ha raggiunto le aule di molti tribunali in tutto il mondo. Da segnalare la battaglia legale fra Samsung ed Apple per brevetti spesso non del tutto condivisibili. Sembra comunque improbabile che vengano prese misure simili negli Stati Uniti, paese in cui la presenza di un elevato numero di multinazionali potrebbe ostacolare il processo.

Come riporta VR-Zone, però, i brevetti software rappresentano una parte consistente dell'economia nel settore tecnologico e andrebbero protetti piuttosto che accusati. Se da una parte è vero che aziende come le sopra menzionate Apple e Samsung abbiano abusato a lungo sfruttando i brevetti detenuti per cause di tribunale volte solamente ad esacerbare i rapporti fra le due società, dall'altra rappresentano l'unica possibilità di riconoscere ad un'azienda la capacità di sapere innovare.

Secondo il sito infatti la soluzione sarebbe quella di riformare il mondo dei brevetti in modo da evitare gli abusi, ma senza ricorrere ad abolizioni drastiche di una delle parti più importanti per l'innovazione nel settore tecnologico. Un primo passo sarebbe la partecipazione nei tribunali di organizzazioni riconosciute nel settore come la USPTO in modo da garantire consulenze esperte ed imparziali. Bisognerebbe evitare inoltre alle aziende di imbastire strategie di mercato volte esclusivamente ad annichilire la concorrenza sfruttando i brevetti detenuti.

L'esempio di VR-Zone è chiaro: una startup che lavora su qualcosa di rivoluzionario potrebbe essere schiacciata sul nascere da una grossa azienda che riesce a fornire la stessa idea - in questo caso estorta - realizzata da un team di esperti ad un prezzo così basso - magari in perdita - che non permette alla startup di poter concorrere adeguatamente. In questo caso il mancato riconoscimento della proprietà intellettuale causerebbe la chiusura della piccola realtà, senza nemmeno riconoscerle la validità della sua creazione.

Il modello neozelandese potrebbe essere un esempio su come iniziare proteggendo solamente il software che realmente innova, ma non crediamo che la totale abolizione possa rappresentare un reale vantaggio nell'intrigato e complesso mondo brevettuale.


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